Pandemia da Pandemia

PANDEMIA DA PANDEMIA

Siamo circondati da migliaia di notizie tutti i giorni. Tv, Radio, Giornali non fanno che parlarci di quanto siano in evoluzione i dati, i regolamenti che ci coinvolgono. Tutti siamo alla disperata mercé di una qualsiasi persona che possa permetterci una vaccinazione. Continuamente immersi ma distratti mentre le vite devono fare i conti con l’obbiettività di certi problemi che i dipendenti statali iniziano a sperimentare marginalmente. Passiamo così da tematiche di attualità, che ci vedono immersi da ormai parecchi mesi in una costante linea demarcata, a notizie di manovre fiscali più o meno efficaci. Dalla lotta all’evasione, altro grande problema da sanare, alla stabilità politica. Ma fermiamoci un attimo per cortesia. Un attimo soltanto.

Ciò che ci spaventa è ciò che non conosciamo

Quando pensiamo a tutto quello che dal 2020 ad ora è accaduto a causa della pandemia, anche quando amici, conoscenti, parenti stretti, hanno subito in primis gli effetti negativi di tali effetti troppo pochi si sono soffermati a comprendere e dare spazio ad una dignità che va ben oltre lo spettacolo da notiziario.

Dalle pagine Facebook, ai link sui social, altro non facevano che arrivare bellissimi video di persone ottimiste che distoglievano l’importanza di una corretta elaborazione, una sana concentrazione sul fenomeno. Dalla sera alla mattina poi non sono mancati i teorici, gli esperti, i nuovi attuali top seller di libri e servizi medici (le nuove star in camice bianco). A ragion di logica pare che la pandemia, il confinamento sociale, abbia solo fatto la fortuna di pochi; alcuni produttori di impianti acustici (microfoni, strumenti musicali da balcone) e medici che fino a prima del 2020 strillavano sui giornali per richiamare l’attenzione dei pazienti alle campagne vaccinali, rimanendo però inascoltati dai più e dei perfetti sconosciuti.

Ciò che ci spaventa è ciò che non conosciamo perché non lo sappiamo comprendere, non ne abbiamo le basi; nessuno dovrebbe costruire le basi di un esistenza basata su fatti che accadono in un periodo pandemico; queste cose che solo si dovrebbero studiare solo sui libri come eventi remoti, per lo meno nel ventunesimo secolo.

2021 l’anno della grande compassione? o della svolta climatica?

C’è stato già chi ha riferito che il 2021 sarà l’anno in cui ci osserveremo tutti come persone legate le une alle altre in modo rispettoso e compassionevole. Certamente il problema qui è facilmente osservabile, ovvero che in assenza di comprensione preventiva, questa compassione non c’è veramente stata né al inizio della pandemia, né durante; triste da dire ma “forse” c’è ne sarà alla fine. L’unica cosa che abbiamo copiato, e che ci ha fatto sentire veramente uniti sono stati i balletti degli operatori sanitari negli ospedali fra i degenti in quarantena, i proseliti dai balconi da gente improvvisata di quartiere, le cantilene e le tombole urlate dalle finestre durante le domeniche nei lockdown, a replicare quello che dei volontari in divisa facevano con i megafoni sulle loro auto mentre ricordavano a tutti di rimanere confinati nel posto in cui vivevano. Non è affatto una critica questa, ma un approccio diretto a voler mettere in luce ciò che perlomeno si è osservato, nell’Italiano medio, durante il periodo di pandemia e lockdown; lezioni acquisite, e replicate alla lettera, direttamente da dietro uno schermo.

Uno schermo che spesso mostrava personale di vigilanza lungo le strade aggredito verbalmente con arroganza dai loro stessi contribuenti. Cosa che ha innescato, nel peggiore delle ipotesi, dei veri e propri abusi da parte delle forze dell’ordine, che fuori turno, aveva davanti simili contesti multimediali a creare così divisione fra il privato e le leggi, non davano facile comprensione di ciò che vi era posto al vertice di queste insensata arroganza da entrambi i lati. Certamente è vero che la legge arriva con i suoi comportamenti in modo a volte disperato e mal organizzato, che un operatore deve applicarla astenendosi da qualsivoglia giudizio, ma in tutto questo non c’è possibilità di sbagliarsi; in questo caso l’errore sta nell’impreparazione di entrambi. Questo errore emerge e si consolida nel istante in cui si è potuto notare come, con sfida e arroganza, personale volontario a livello comunitario in divisa, abbia avuto il coraggio e la pretesa di ammonire addirittura personale in divisa proveniente dalle frange militari dedite alla pubblica sicurezza che organizzavano il pattugliamento in modo consono e a modello di istruzione sociale (informazione) e repressione (in caso di recidiva) delle persone civili.

Non è mancato di fatto di vedere il volontario della comunità europea porsi, a macchia d’olio, esercitare il diritto privato con l’abuso della divisa offerta in cambio di un riconoscimento sociale. Così messo in condizione di non comprensione, nel azione del fare, davanti ai social che provocavano la divisione fra uomini e donne in divisa e borghese e le prese di coraggio da predicatori da balcone a tutto volume, ecco che alla minima osservazione di un assenza di tassativa fiscalità e repressione, ne nasceva un acceso dibattito soprattutto a causa dei più giovani che sempre operativi nel volontariato poteva in qualche modo capitare di replicare la provocazione vista su internet e espressa con l’uso di un colore indossato anche se in veste privata.

Si segnalavano così casi di volontari che raccoglievano numeri di targhe da segnalare a terzi (a dirsi superiori in carica al personale di pattuglia in sito), insieme alla segnalazione dello stesso personale affrontato con diretto scontro verbale, per la semplice assenza di tassatività nel applicare sanzione al civile piuttosto che invitare ordinatamente le persone al proprio domicilio con diffida verbale, oltre che pendente sul piano di vista morale.

Un uomo in divisa, una donna che indossa colori di una bandiera sempre e comunque, specialmente in un certo ambiente, per quanto nel suo privato faccia uso di social e sia a sua volta incline alla provocazione e al giudizio, e sempre tenuto alla neutralità e nel ovvio giuramento fatto verso il richiamo del proprio paese, e c’è un modo per aiutare il proprio paese che è con la legge, e una con l’ascolto, la vicinanza, la fiducia e la comprensione. Questo, fino a prova contraria, fa di un militare un individuo che è parte integrante di una comunità; altrimenti domani possiamo organizzarci in mille e vestirci da arlecchino e magari pretendere per qualsivoglia vanteria o riconoscenza benefica di essere presi come tutori della legge con tanto di libretto per assegni da far firmare ad ogni errore commesso da un contribuente. Non è questo il richiamo dell’Italia, nemmeno durante una pandemia. Abbiamo visto l’esercito nelle strade delle città cinesi dimenticandoci che questo è il loro modo di trattare le persone, non un protocollo che si forma come migliore. Se lo sarà migliore, in un paese democratico, un Presidente avrà sempre modo di richiamare all’ordine i propri cittadini anche quell’ora vi fosse la necessità di porre un ordinamento temporaneo atto a chiudere ogni civico a se stesso, supportato nei generi alimentari dalle scorte passate dall’esercito. In Cina chiudevano le persone saldandone le porte, qui non potrebbero mai fare una cosa simile in quanto esistono leggi di prevenzione incendi e di pubblica sicurezza che ne impediscono tali abusi; perché di fatto quelli sono veri e tali per le leggi che molti paesi hanno costruito e non rinnegheranno certo per una pandemia a costo di perdere buona parte della popolazione. A quel punto anche un pollo saprebbe che e meglio starsene a casa senza bisogno dell’uso della forza. Cina e Italia non potranno mai essere compatibili, il piano legislativo non lo permette. Bisognerebbe rovesciare tutto e far finta di non aver imparato nulla da decenni di errori sui quali si sono stabiliti regole e leggi.

La pandemia impone riflessione

Bisogna rallentare il passo personale, raccogliere le notizie essenziali, filtrarle, ma trovare lo spazio idoneo per la meditazione nel insieme. Osservando attentamente scorgiamo le vittime, i loro parenti. Troviamo il dolore e la difficoltà di chi non ha potuto nemmeno salutare e dare un addio ad un proprio parente. Uno strappo che questo obbligo alla fiscalità da protocollo ha destabilizzato, e ancora destabilizza, migliaia di persone in ogni dove.

Si è parlato di cosa siano gli amici, di quanti possono essere visti in un dato luogo, in che fascia oraria e meglio fino a cosa sia un congiunto, un sentimento affettivo, un parente.

Pandemia non significa cambiamento, ne tanto meno la fine. Pandemia, per come è gestita e organizzata, nelle lunghe distese di nylon per il distanziamento alle tonnellate di gel spaventosamente ricco di tensioattivi in grado di sterminare il 99,9% dei batteri, lasciandoci in balia del 0,01% in grado di resistere e rafforzarsi in modo vertiginoso su scala globale, si trasforma in un vero e proprio disagio, uno strappo alla vita messo in atto per l’intento di preservarla. Questo un dolore inconfessabile per molti perché temono di parlare ed essere visti come streghe da porre al rogo. Non possono essi alzare la voce, il loro dolore non può esprimersi perchè il parere medico e sociale li zittisce, li spegne. Sono solo numeri che hanno partecipato e partecipano ad una lunga lista dei conti da fare durante una crisi sanitaria posta ormai come l’olocausto.

Loro, parte di tutti noi che non hanno potuto salutare i loro cari, non hanno potuto darne una degna sepoltura rinunciando al rito di elaborazione del lutto che si chiama celebrazione del rito funebre. Loro che osservano un mondo impietoso saltare per pubblicità sui balconi dei palazzi urlando che andrà tutto bene, loro…si! loro, hanno già perso tutto ed insieme a loro abbiamo perso tutti.

Non è andando in giro senza mascherina fra la folla sbandierando il negazionismo che si da giustizia. La legge dice che la maschera va indossata, inutile indossarla da soli in auto mentre si guida, inutile indossarla in un prato, un marciapiede di una via senza civici e persone in movimento.

Ma prima di irrobustire le certezze che un malanno virale non esista per sfuggire a paure e magari non osservare il numero degli infetti per paura di finirci in mezzo, ricordiamoci che se vogliamo sconfiggere qualsiasi minaccia virale e non, prima che togliere la dignità all’uomo, alla sua anima, al suo naturale essere spirituale, prima cerchiamo (anche se siamo persone difficili o timide) di dare dignità attorno a noi e per noi avremo un guadagno fatto di coesione sociale in cui colori e divise saranno solo strumenti in più per servire. Dando dignità, piuttosto che toglierla avremo meno paura, meno spavento di non poter neppure avere modo di poter comunicare un unica volta, in un unico saluto, nello stato di trapasso dopo aver provveduto al impegno sociale, lavorativo, individuale e familiare.

Dimentichiamo proprio grazie a questo grande caos ancor meglio chi siamo, che oltre il confine non finiscono i guai, per chi male ha sempre compiuto e per questo forse questo tempo e l’ultimo che gli resta per svolgere il proprio appagamento e il proprio piacere; poco tempo che non dura un eternità quanto il danno opera delle loro mani.

Rallentiamo e ricordiamoci sempre che anche un saluto non dato di persona non vale quanto quello dato con amore, anche a distanza. Una persona che oltrepassa quello stato fisico come prima cosa, soprattutto per quanta assenza di possibilità fisiche, vorrà poterci abbracciare. Cambiano i modi ma la profondità del gesto rimane. Non lasciamola sospesa come emozione nel baccano del mondo che rimane impreparato e incivile preso dalla corsa frenetica e dal gelido dominio della tecnica.

Perché a volte chi se ne va’, specialmente se non volutamente ricercato, ritorna sulla vita maestra, la strada dell’amore, della libertà; che li riporta da noi.

Perdonare i torti e riempire il silenzio con il silenzio di chi è consapevole di non essere rimasto perso nel nulla, perché il mondo e così grande, ma l’universo ancor di più e solo l’amore è quella cosa che rende possibile la vita.